Un’altra
tegola incombe sul capo del terremotato emiliano: il rischio della
morte civile. Giusto per non farsi mancare nulla.
A
differenza di quanti in passato hanno provato paura e sgomento a
causa di un sisma, i terremotati emiliani non potranno sperare nel
pieno sostegno dello Stato, ma di certo non si aspettano che su parte
di loro, incomba un’ulteriore tragedia.
C’è
un luogo comune che si ripete di continuo e che fa grande danno:
l’Emilia si risolleverà da sola. Da una parte può far piacere che
si riconosca agli emiliani (come ai lombardi od ai veneti colpiti dal
medesimo terremoto) la capacità di rimboccarsi le maniche (ma anche
gli Umbri, Abruzzesi ed Irpini non sono rimasti con le mani in mano),
ma qui ci troviamo di fronte ad un evento che non potrà essere
superato solo con la buona volontà, quella che spinge a lottare ed
andare avanti un passo alla volta.
Si
tratta di un ritornello che funge da causa giustificatrice perché ci
si possa voltare dall’altra parte e fingere che la tragedia sia
alle spalle, mentre in realtà i problemi della ricostruzione
iniziano adesso.
Esaminiamone
uno fra i tanti: quello di chi aveva un mutuo sulla casa danneggiata
dal sisma.
E’
noto che il contributo statale servirà a pagare solo una parte dei
lavori di ricostruzione, conseguentemente il terremotato sarà
costretto a reperire autonomamente i fondi per sobbarcarsi la
differenza che, nella migliore delle ipotesi, sarà pari al 20%, ma
molto spesso risulterà ben superiore, essendovi una serie di
limitazioni (illustrate in altri interventi) che fanno lievitare tale
percentuale.
Chi
può attingerà ai risparmi della famiglia, chi non ne ha chiederà
un prestito alla sua banca sperando di ottenerlo, ma vi sarà anche
chi era già indebitato perché aveva un mutuo in corso.
In
proposito, l’8 agosto 2012, la regione Emilia Romagna ha
sottoscritto un accordo col sistema bancario (all’indirizzo:
www.regione.emilia-romagna.it/terremoto/gli-atti-per-la-ricostruzione/accordo_banche_agosto)
che impegna le banche a concedere:
- l’anticipazione del contributo statale (quello fino all’80%);
- la concessione di un mutuo che copra la quota rimanente rimasta a carico del terremotato (il teorico 20% che rimane);
- la possibilità, per chi aveva già un mutuo in essere, la chiusura del medesimo e la riaccensione di un nuovo mutuo che incorpori il precedente e lo integri con la quota dei costi di ristrutturazione che rimane a carico del terremotato.
Tuttavia
nel successivo accordo operativo di settembre
(www.regione.emilia-romagna.it/terremoto/gli-atti-per-la-ricostruzione/accordo_banche_settembre),
all’art. 1 si precisa che la concessione delle suddette modalità
di finanziamento è subordinata alla valutazione da parte della banca
del cosiddetto “merito creditizio”. In altre parole è l’istituto
di credito a dover decidere se il terremotato merita la concessione
del prestito perché ha la capacità di restituirlo. Possibilità che
potrebbe non avere se ha un reddito basso o se è a rischio di
perdere il lavoro.
Occorre
quindi domandarsi cosa succede se la banca rifiuta il finanziamento
per completare la ristrutturazione. La risposta è ovvia: il
terremotato non sarà in grado di riparare l’abitazione e perderà
il contributo statale che spetta solo a condizione che si porti a
termine l’intervento di riparazione. Chi non potrà permettersi di
sostenere la parte di costo che rimane a suo carico non ha diritto ad
alcun indennizzo dallo Stato. Inevitabilmente perderà il contributo
e dovrà ricominciare la sua vita da zero, tenterà di vendere
l’abitazione (ammesso vi sia qualcuno disposto a comprarla e
ristrutturarla a proprie spese senza alcun contributo statale, perché
la vendita ad un estraneo è causa di decadenza del diritto al
contributo1)
e si cercherà un’altra abitazione.
Chi
è già indebitato rischia molto di più, perché dovrà continuare a
pagare le rate del mutuo anche se ha perso l’abitazione. Se non
avrà la possibilità di sopportare l’onere di ristrutturazione per
la parte che rimane a suo carico, dovrà rinunziare al contributo e
cercarsi un’altra abitazione in affitto, ma dovrà essere in grado
di pagare sia il mutuo precedente che il canone di locazione. Una
sorta d’impresa impossibile. Sarà quindi costretto a scegliere se
pagare l’affitto od il mutuo, ma non pagare le rate del prestito
bancario significa finire nell’elenco dei “cattivi pagatori”,
il che equivale alla morte civile con la certezza che, in futuro, gli
risulterà pressoché impossibile ottenere qualunque tipo di
finanziamento, subirà la revoca della carta di credito, e
probabilmente gli verrà richiesto di restituire il libretto degli
assegni.
Si
sa inoltre che i cervelloni elettronici delle banche hanno la memoria
lunga e, la condizione di “cattivo pagatore”, perdurerà come
marchio d’infamia per un tempo indefinito. Un’etichetta che per
il sistema bancario equivale ad essere un appestato da tenere a
distanza.
Vediamo
ora le possibili soluzioni. Tra i beneficiari del contributo statale
sono inclusi anche i titolari di diritti reali di garanzia.
Generalmente si tratta delle banche che hanno iscritto sull’immobile
danneggiato un’ipoteca a garanzia dei prestiti concessi. L’istituto
di credito potrebbe quindi avere interesse a finanziare la
ristrutturazione per salvaguardare il valore dell’edificio, e
quindi potrebbe essere propenso a concedere un ampliamento del mutuo
al proprietario terremotato, oppure ad intervenire in sua vece per
poi rivendere, trascorsi due anni dalla fine lavori (come poc’anzi
illustrato, la vendita entro due anni comporta la decadenza del
contributo che deve essere restituito), l’immobile e recuperare il
finanziamento concesso. Si tratta però di ipotesi che difficilmente
si verificheranno per effetto della difficoltà che incontrano le
banche a reperire denaro da impiegare, ma soprattutto del rischio di
non riuscire a recuperarlo in tempi rapidi, a causa della crisi del
mercato, ed in particolare, quello immobiliare che è ancor più
depresso nella zona del “cratere”.
Un’alternativa
più praticabile potrebbe essere quella di concedere la garanzia
dello Stato anche sul prestito che il terremotato potrebbe essere
costretto a richiedere per saldare la quota di lavori che rimarrà a
suo carico. In questo modo la valutazione del “merito creditizio”
diventa una mera formalità perché comunque sarà lo Stato a correre
il rischio di un’eventuale insolvenza del terremotato.
Una
soluzione radicale consisterebbe invece nell’ottenere dallo Stato
la copertura integrale degli oneri di ricostruzione, così come è
stato fatto in tutte le tragedie che hanno preceduto quella emiliana.
Di
certo qualcosa occorre fare, altrimenti potrebbero essere in tanti
quelli che, dopo aver perso la casa, rischiano di perdere anche la
credibilità finanziaria, una sorta di condanna ad un’esistenza da
reietti.
Sisma.12
1
Art. 8, 2° comma, dell’Ordinanza Emilia Romagna n° 51 del 5
ottobre 2012
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