giovedì 11 luglio 2013

con la sola attesa non si ricostruisce il nostro futuro


RIPRENDIAMOCI I NS DIRITTI

Anche l’ultima possibilità “istituzionale” di risolvere i problemi dei terremotati emiliani si è persa nei meandri del Parlamento, dove la conversione in legge del dl 43   ci ha consegnato piccole migliorie (spesso scontate) con una valanga di promesse disattese.

Era il 30 maggio quando il Commissario Errani ed il Presidente Letta, a seguito di una contestazione subita durante una visita ai territori colpiti dal sisma, assicuravano che tutti i problemi sarebbero stati risolti in Parlamento. D’altra parte, in linea con quanto si è già verificato durante l’ultimo anno, il testo emanato lascia invariati tutti gli aspetti che, più o meno direttamente, stanno bloccando la ricostruzione, come ci dimostrano gli stessi dati forniti dalla Regione (180 milioni elargiti a fronte di un danno stimato tra i 10 e i 15 miliardi).
Questo ci sembra un copione già noto che, da un lato vede le Istituzioni compatte nel descrivere uno scenario positivo, quasi come se in Emilia il terremoto fosse ormai un lontano ricordo, e dall’altro lascia i terremotati ancora in condizioni di enorme precarietà, impegnati a districarsi tra la burocrazia e i soldi che non arrivano.
Il leitmotiv con il quale si giustificano le bocciature sostanziali di ogni singola proposta che viene dai comitati è “in questo periodo di crisi i soldi non ci sono”. Tuttavia, le risorse, seppur esigue a loro dire, che vengono trovate per gli F-35, per la TAV (guarda caso questi temi sono affrontati nello stesso provvedimento che riguarda i terremotati) e per quei progetti che destinano soldi ai soliti noti, ci pongono di fronte a un dato di fatto: la ricostruzione dell’Emilia non è una priorità!
Crisi, fiscal compact, pareggio di bilancio in costituzione, regole imposte dall’Europa, e non solo, stanno lì a dirci che i soldi li si vuole usare per pagare gli interessi sui titoli di Stato o per finanziare il sistema bancario, oggi più che mai focalizzato nella realizzazione dei suoi piani speculativi e sempre più cinico nella sua interazione col territorio. Su questa linea si sono posizionati anche Errani e Letta dimostrando, al di là delle dichiarazioni, una continuità di intenti con il precedente governo Monti. L’episodio più recente è quello della polizza obbligatoria contro le calamità naturali tipo il terremoto. Il provvedimento, contenuto nella riforma della Protezione Civile varata da Monti e tuttora in esame, prevede che lo Stato non paghi più ai cittadini i danni causati da eventi catastrofici, considerando tale pratica anacronistica e di carattere assistenziale, ma obbliga i cittadini stessi ad assicurarsi privatamente. Il governo Letta si limita a edulcorare la pillola proponendo, secondo recente affermazione del sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico Simona Vicari, che l’assicurazione venga resa obbligatoria, ma che lo Stato contribuisca all’onere attraverso defiscalizzazioni dei premi assicurativi. Dunque, le varie governance concordano che l’indennizzo ai cittadini da parte dello Stato, per quanto subito a causa di calamità naturali, non sia un diritto degli stessi.
E’ sempre più evidente quali siano le dinamiche messe in atto: si vuole imbonire i terremotati con promesse che nella realtà non si intende mantenere (molto spesso provando a cavalcare le rivendicazioni portate avanti tenacemente dai comitati) e contemporaneamente si usano forme di ricatto, che giocano sulla vulnerabilità psicologica di chi sta vivendo situazioni estremamente critiche, per bloccare a monte le proteste; così l’applicazione dei piani di austerity può proseguire indisturbata e i governanti possono tenersi ben stretti le poltrone del comando, a Roma a Bologna o nell’ultimo comune del cratere, con tutti i privilegi che ne conseguono.
Pensiamo allora che sia necessario più che mai “tirarsi su le maniche”, questa volta non per sopperire alle mancanze dello Stato, ma per chiedere con forza quello ci spetta, i nostri diritti e la ricostruzione del nostro territorio. Dobbiamo essere consapevoli che dalla cricca dei governanti non si otterrà nulla, ad esclusione di contentini ingannevoli, a meno che non li si metta alle strette. D’altra parte, nella situazione in cui ci troviamo, provare a risolvere le varie problematiche individualmente, rivolgendosi magari all’amministratore di turno con l’auspicio che questi si adoperi per noi, non può che risultare controproducente; infatti, se non si fa parte in qualche misura dell’entourage, si viene lasciati soli nella confusione più totale, narcotizzati dalla solita mole di promesse vuote.
L’unica risposta che sia in grado di ribaltare questo scenario profondamente critico è la compattezza di noi terremotati e la nostra determinazione a lottare per appropriarci di una ricostruzione del nostro territorio che rispetti i nostri bisogni e che rispecchi i nostri desideri. Non si tratta di assistenzialismo ma di un nostro diritto!
Non possiamo più aspettare, il tempo dei lamenti è finito e l’unica via percorribile è quella della lotta per il nostro futuro, tutti uniti al fianco dei comitati, per riprenderci ciò che ci spetta!

Dal Basso alla Bassa

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