lunedì 22 ottobre 2012

EMERGENZA POST TERREMOTO: dopo la perdita della casa, il rischio della morte civile



Un’altra tegola incombe sul capo del terremotato emiliano: il rischio della morte civile. Giusto per non farsi mancare nulla.
A differenza di quanti in passato hanno provato paura e sgomento a causa di un sisma, i terremotati emiliani non potranno sperare nel pieno sostegno dello Stato, ma di certo non si aspettano che su parte di loro, incomba un’ulteriore tragedia.
C’è un luogo comune che si ripete di continuo e che fa grande danno: l’Emilia si risolleverà da sola. Da una parte può far piacere che si riconosca agli emiliani (come ai lombardi od ai veneti colpiti dal medesimo terremoto) la capacità di rimboccarsi le maniche (ma anche gli Umbri, Abruzzesi ed Irpini non sono rimasti con le mani in mano), ma qui ci troviamo di fronte ad un evento che non potrà essere superato solo con la buona volontà, quella che spinge a lottare ed andare avanti un passo alla volta.
Si tratta di un ritornello che funge da causa giustificatrice perché ci si possa voltare dall’altra parte e fingere che la tragedia sia alle spalle, mentre in realtà i problemi della ricostruzione iniziano adesso.
Esaminiamone uno fra i tanti: quello di chi aveva un mutuo sulla casa danneggiata dal sisma.
E’ noto che il contributo statale servirà a pagare solo una parte dei lavori di ricostruzione, conseguentemente il terremotato sarà costretto a reperire autonomamente i fondi per sobbarcarsi la differenza che, nella migliore delle ipotesi, sarà pari al 20%, ma molto spesso risulterà ben superiore, essendovi una serie di limitazioni (illustrate in altri interventi) che fanno lievitare tale percentuale.
Chi può attingerà ai risparmi della famiglia, chi non ne ha chiederà un prestito alla sua banca sperando di ottenerlo, ma vi sarà anche chi era già indebitato perché aveva un mutuo in corso.
In proposito, l’8 agosto 2012, la regione Emilia Romagna ha sottoscritto un accordo col sistema bancario (all’indirizzo: www.regione.emilia-romagna.it/terremoto/gli-atti-per-la-ricostruzione/accordo_banche_agosto) che impegna le banche a concedere:
  1. l’anticipazione del contributo statale (quello fino all’80%);
  2. la concessione di un mutuo che copra la quota rimanente rimasta a carico del terremotato (il teorico 20% che rimane);
  3. la possibilità, per chi aveva già un mutuo in essere, la chiusura del medesimo e la riaccensione di un nuovo mutuo che incorpori il precedente e lo integri con la quota dei costi di ristrutturazione che rimane a carico del terremotato.
Tuttavia nel successivo accordo operativo di settembre (www.regione.emilia-romagna.it/terremoto/gli-atti-per-la-ricostruzione/accordo_banche_settembre), all’art. 1 si precisa che la concessione delle suddette modalità di finanziamento è subordinata alla valutazione da parte della banca del cosiddetto “merito creditizio”. In altre parole è l’istituto di credito a dover decidere se il terremotato merita la concessione del prestito perché ha la capacità di restituirlo. Possibilità che potrebbe non avere se ha un reddito basso o se è a rischio di perdere il lavoro.
Occorre quindi domandarsi cosa succede se la banca rifiuta il finanziamento per completare la ristrutturazione. La risposta è ovvia: il terremotato non sarà in grado di riparare l’abitazione e perderà il contributo statale che spetta solo a condizione che si porti a termine l’intervento di riparazione. Chi non potrà permettersi di sostenere la parte di costo che rimane a suo carico non ha diritto ad alcun indennizzo dallo Stato. Inevitabilmente perderà il contributo e dovrà ricominciare la sua vita da zero, tenterà di vendere l’abitazione (ammesso vi sia qualcuno disposto a comprarla e ristrutturarla a proprie spese senza alcun contributo statale, perché la vendita ad un estraneo è causa di decadenza del diritto al contributo1) e si cercherà un’altra abitazione.
Chi è già indebitato rischia molto di più, perché dovrà continuare a pagare le rate del mutuo anche se ha perso l’abitazione. Se non avrà la possibilità di sopportare l’onere di ristrutturazione per la parte che rimane a suo carico, dovrà rinunziare al contributo e cercarsi un’altra abitazione in affitto, ma dovrà essere in grado di pagare sia il mutuo precedente che il canone di locazione. Una sorta d’impresa impossibile. Sarà quindi costretto a scegliere se pagare l’affitto od il mutuo, ma non pagare le rate del prestito bancario significa finire nell’elenco dei “cattivi pagatori”, il che equivale alla morte civile con la certezza che, in futuro, gli risulterà pressoché impossibile ottenere qualunque tipo di finanziamento, subirà la revoca della carta di credito, e probabilmente gli verrà richiesto di restituire il libretto degli assegni.
Si sa inoltre che i cervelloni elettronici delle banche hanno la memoria lunga e, la condizione di “cattivo pagatore”, perdurerà come marchio d’infamia per un tempo indefinito. Un’etichetta che per il sistema bancario equivale ad essere un appestato da tenere a distanza.
Vediamo ora le possibili soluzioni. Tra i beneficiari del contributo statale sono inclusi anche i titolari di diritti reali di garanzia. Generalmente si tratta delle banche che hanno iscritto sull’immobile danneggiato un’ipoteca a garanzia dei prestiti concessi. L’istituto di credito potrebbe quindi avere interesse a finanziare la ristrutturazione per salvaguardare il valore dell’edificio, e quindi potrebbe essere propenso a concedere un ampliamento del mutuo al proprietario terremotato, oppure ad intervenire in sua vece per poi rivendere, trascorsi due anni dalla fine lavori (come poc’anzi illustrato, la vendita entro due anni comporta la decadenza del contributo che deve essere restituito), l’immobile e recuperare il finanziamento concesso. Si tratta però di ipotesi che difficilmente si verificheranno per effetto della difficoltà che incontrano le banche a reperire denaro da impiegare, ma soprattutto del rischio di non riuscire a recuperarlo in tempi rapidi, a causa della crisi del mercato, ed in particolare, quello immobiliare che è ancor più depresso nella zona del “cratere”.
Un’alternativa più praticabile potrebbe essere quella di concedere la garanzia dello Stato anche sul prestito che il terremotato potrebbe essere costretto a richiedere per saldare la quota di lavori che rimarrà a suo carico. In questo modo la valutazione del “merito creditizio” diventa una mera formalità perché comunque sarà lo Stato a correre il rischio di un’eventuale insolvenza del terremotato.
Una soluzione radicale consisterebbe invece nell’ottenere dallo Stato la copertura integrale degli oneri di ricostruzione, così come è stato fatto in tutte le tragedie che hanno preceduto quella emiliana.
Di certo qualcosa occorre fare, altrimenti potrebbero essere in tanti quelli che, dopo aver perso la casa, rischiano di perdere anche la credibilità finanziaria, una sorta di condanna ad un’esistenza da reietti.
Sisma.12


1 Art. 8, 2° comma, dell’Ordinanza Emilia Romagna n° 51 del 5 ottobre 2012

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