OSSERVAZIONI ALLA BOZZA DI ORDINANZA PER LA RIPARAZIONE DI FABBRICATI CON ESITO E0


OSSERVAZIONI ALLA BOZZA DI ORDINANZA INERENTE LA RIPARAZIONE E IL RIPRISTINO DI FABBRICATI CON ESITO E0 (cfr. Vers. 19/09/2012)
Anche questa Ordinanza, benché al momento sia solo una “Bozza”, conferma il percorso intrapreso da parte dell’Amministrazione [e da molti cittadini ormai compreso] volto ad ostacolare i cittadini mediante la definizione di procedure contorte, disseminate di ostacoli [per non dire trappole] con penalità unilaterali – ovviamente a carico solo dei terremotati – e modalità di erogazione dei contributi [sempre che si riesca a raggiungerli!!] che nascondono evidenti intenti dilatori da parte della P.A.
Secondo lo schema tipico di un’Ordinanza [o altra norma] le disposizioni in essa contenute sono anticipate da una serie di premesse e richiami. È in questa sezione che si nasconde un’asserzione apodittica che occorre analizzare con attenzione giacché è su di essa che si regge il criterio mal concepito – e poi disciplinato – per erogare contributi.
Fra i vari “visto”, “richiamato”, “considerato”, “tenuto conto” ecc., compaiono anche una serie di “ritenuto” dove, in modo semplicistico e pressappochistico, vengono fatte passare assunzioni di fatto mai comprovate.
Si richiama l’attenzione sul seguente passaggio:
Ritenuto quindi di dover procedere con gradualità nella messa a punto delle misure necessarie per la riparazione degli edifici danneggiati stabilendo a questo punto di affrontare il tema del ripristino delle strutture che hanno subito danni significativi tali da costringere le autorità alla emissione di ordinanze di sgombero totali, ma che comunque sono riparabili con interventi contenuti finalizzati a eliminare il danno, ridurne la vulnerabilità sismica ed aumentarne la sicurezza fino a raggiungere un livello pari almeno al 60% di quello previsto per le nuove costruzioni;
Ritenuto quindi di stabilire le modalità di intervento per quegli edifici ed unita immobiliari che sono state sgomberate a seguito di verifica di inagibilita' da parte dei tecnici coordinati dalla DICOMAC riconducibile ad esito "E" nelle schede AeDES depositate agli atti della Giunta regionale;
Considerato comunque che tra gli edifici classificati con esito E ci sono situazioni di danneggiamento e di vulnerabilità sismica molto differenziate e che appare innanzitutto prioritario affrontare quelle ove i livelli di danno e vulnerabilità sono inferiori ad una soglia prestabilita e che possono essere oggetto di interventi di riparazione e miglioramento sismico comunque apprezzabili, ma non fortemente invasivi;
Siamo d’accordo che fra gli edifici che abbiano maturato un giudizio “E” in fase di verifica ve ne siano [e possano esservene] alcuni “…riparabili con interventi contenuti...”. Non siamo d’accordo sul fatto che essi [cioè gli interventi necessari] possano anche ritenersi “…contenuti…” né “…non fortemente invasivi…” laddove debbano provvedere a ridurre la vulnerabilità sismica e aumentare la sicurezza fino a raggiungere un livello di sicurezza pari almeno al 60% di quello previsto per le nuove costruzioni”.
Riteniamo, al contrario, che intervenire su edifici non concepiti per sopportare azioni sismiche dovendo introdurre ex post capacità in tal senso – peraltro per raggiungere una capacità di prestazione piuttosto elevata [e cioè un livello di sicurezza pari almeno al 60% di quello di cui alle NTC 2008] – possa essere tutt’altro che non invasivo e, al contempo, tutt’altro che poco dispendioso; ed è questo il punto cruciale.
Passando al testo delle disposizioni, si propongono di seguito alcune valutazioni puntuali, articolo per articolo.
All’art. 2 si statuisce il riconoscimento di “un contributo” ed esso è concesso per la riparazione e il miglioramento sismico con la precisazione ulteriore del livello minimo di prestazione da raggiungere (il 60% di cui sopra). La cosa parrebbe anche interessante.
All’art. 3 cominciano subito le disillusioni. È vero che si parla di un contributo dell’80%, ma questo non è riferito ai costi reali da sostenere poiché vi è un tetto massimo: un costo convenzionale artatamente definito.
Un esempio: un villino da 200 mq complessivi ha come massimo contributo ammissibile la cifra di 132.000,00 €. Per un addetto ai lavori la somma parla già chiaro, ma anche un non addetto può arrivare a coglierne l’iniquità.
Richiamando nuovamente una circostanza assolutamente palese e assodata [e cioè che il patrimonio edilizio della zona terremotata non ha alcuna impostazione antisismica poiché, per assicurazione dello Stato, l’area oggi terremotata per decenni è stata data per “non sismica”] non è assolutamente detto – essendo più certamente vero il contrario – che con “…interventi contenuti…” e poco invasivi si riesca a riparare i fabbricati danneggiati e al contempo anche a raggiungere la soglia minima di miglioramento antisismico che dà diritto al contributo.
Il sapore del provvedimento, pertanto, non è quello che subdolamente si vorrebbe fare intendere. Non siamo davanti ad un riconoscimento cospicuo (80%) per potersi rimettere in sesto e riprendere normali e dignitose condizioni di vita, ma piuttosto davanti solamente ad una tantum neppure semplice ad ottenere. IL COSTO MASSIMO AMMISSIBILE VA ELIMINATO.
Al più il costo massimo di riferimento deve diventare quello corrispondente all’ipotesi di demolizione e ricostruzione del fabbricato di volta in volta di riferimento.
Inoltre, sempre all’art. 3, il contributo al momento previsto deve essere destinato per “… almeno il 70% …” alla riparazione e al miglioramento sismico dell’edificio, potendo solo la restante quota essere destinata alle finiture strettamente connesse all’intervento. Fermo restando che nessun terremotato ha mai pensato “di andare in vacanza” con i soldi del contributo, non si afferra il senso della restrizione se non quello voluto dello scarico sul cittadino di quote di spese che inevitabilmente ci saranno.
Un intervento di miglioramento sismico varia da caso a caso, essendo legato strettamente alle peculiarità del fabbricato; come tale può necessitare di finiture anche rilevante dopo l’esecuzione degli interventi di miglioramento. Il gioco allora è chiaro: le finiture necessarie in massima parte se le deve pagare il terremotato. LA RESTRIZIONE VA ELIMINATA.
In analogia a quanto già precisato in ordine al costo massimo ammissibile, nel caso di edifici tutelati ex D. Lgs 42/2004, il maggiore riconoscimento non può e non deve essere stabilito genericamente ma deve essere unicamente riferito agli effettivi maggiori costi non essendo plausibile in questi casi ipotizzare, quale riferimento, la possibilità di demolizione e ricostruzione.
L’incremento del costo convenzionale per efficientamento energetico, ferme restante le eccezioni generali già avanzate, anche in senso generalizzato continua a non avere senso. Se si vuole introdurre una premialità per questa tematica laddove perseguita in occasione delle riparazioni, essa DEVE essere commensurato al costo che risulterà necessario, e non in modo astratto con una percentuale che parrebbe essere stata scelta a caso.
Visto l’esordio assolutamente penoso della procedura e del modello informatico introdotto con l’Ordinanza 29/2012 per la presentazione delle domande di contributo per riparazioni di edifici B e C, NON HA SENSO, né è OPPORTUNO, procedere su tale strada non essendo l’Emergenza Sismica la sede né l’occasione ove introdurre modalità innovative e non collaudate che in luogo di snellimenti sono capaci solo di appesantimenti burocratici. Si ritiene che debba essere ripristinata la possibilità di presentazione diretta e cartacea delle domande alle Amministrazioni.
Articolo 4.
Il termine del 30 gennaio 2013 è assolutamente non sufficiente; gli interventi di riparazione e miglioramento sismico impongono rilievi accurati, nel caso in questione anche in assenza di rilievi architettonici di riferimento per indisponibilità documentali stante lo status NON accessibile di molti Archivi pubblici comunali. Ove accessibili, poi, la domanda esuberante provocherà comunque, e inevitabilmente, tempi lunghi di attesa. Superato questo scoglio, resta comunque il fatto che le attività di rilevamento, ispezione e l’esecuzione di saggi per l’individuazione delle proprietà meccaniche e strutturali dei fabbricati da riparare hanno anch’esse tempi lunghi e rilevanti, anche per lo status di Inagibilità nei quali riversano i fabbricati da studiare il che richiederà specifiche attenzioni e idonei accorgimenti per operare in Sicurezza. Peraltro, anche questi costi, unitamente alle maggiori spese tecniche proprie degli interventi, vanno ri-analizzate e maggiormente riconosciute rispetto a quanto già all’Ordinanza 29/2012 per la riparazione degli edifici con classificazione B o C.
Con la domanda di contributo si richiede una dichiarazione asseverata al tecnico attestante il nesso di causalità tra i danni rilevati e l’evento sismico. La richiesta è kafkiana e come tale DA ELIMINARE. I Fabbricati sono stati esaminati e dichiarati inagibili con ordinanze comunali di sgombero. L’evidenza pertanto è già assodata. Si richiedono ulteriormente delle “…schede tecniche di accompagnamento al progetto…”. La richiesta conferma la boriosità gratuita introdotta nelle procedure che mal si coniuga con la necessità di snellezza e deburocratizzazione. Il progetto degli interventi, correttamente già richiesto dal testo, È [E DEVE ESSERE] ASSOLUTAMENTE SUFFICIENTE.
All’articolo 5 è presente una criticità. Atteso che
  • ai sensi del 1° comma la domanda di contributo costituisce comunicazione di inizio lavori;
  • ai sensi del terzo comma per gli edifici ricadenti in area sottoposta a vincolo paesaggistico è ammessa la presentazione della domanda per la corrispondente autorizzazione entro i 60 gg successivi all’inizio dei lavori.
  • dalla data di presentazione della suddetta autorizzazione passerà ancora altro tempo prima del relativo pronunciamento da parte degli ENTI preposti
va discilplinato il caso in cui la necessaria autorizzazione non venga rilasciata. In verità la procedura è assurda poiché prelude e sottintende, per non originare problemi, una supina accettazione dell’istanza da parte dell’Amministrazione preposta. Ma allora non è più sensato, evitando ipocrisie, eliminare la richiesta ex post del titolo [l’autorizzazione paesaggistica] che ha un suo senso concreto solo se acquisito prima??
L’articolo 6 pone pesanti obblighi a carico del cittadino terremotato; anzi sarebbe più corretto dire che vengono introdotte pesanti penalizzazioni in capo al terremotato che, riuscendo a schivare trappole e trabocchetti, pervenga ad un effettivo riconoscimento, magari anche misero. Richieste/pretese quali quelle qui avanzate si potrebbero comprendere [e al contempo accettare] solo in caso di un reale e concreto aiuto e non a fronte di un meccanismo che nei casi effettivi e reali porterebbe ad erogazioni percentualmente molto lontane dal sensazionalistico 80% di cui mediaticamente si parla.
All’art. 7, dopo aver fissato il termine di mesi 24 per l’ultimazione dei lavori, si dà la facoltà ai proprietari interessati di chiedere una proroga sulla base di giustificati motivi. Non si comprende la facoltà discrezionale lasciata ai Comuni quando poi si scrive che essi “…possono autorizzare…” la proroga. Se vi sono giustificati motivi, i Comuni debbono autorizzare la proroga e basta!
Al comma 4 dello stesso articolo vi è un’ambiguità: secondo l’attuale testo, costituisce [e può costruire] violazione da parte del cittadino anche il non inizio dei lavori; inizio che, leggendo il testo, coincide con la presentazione della domanda di contributo. Stante il clima di sfiducia [il cittadino che presenta domanda di contributo non ha alcuna garanzia sulla possibilità di ottenere il contributo], è assolutamente plausibile che qualcuno possa anche aspettare di avere maggiori certezze prima di dare avvio ai lavori. Il riferimento DEVE ESSERE UNICAMENTE L’ULTIMAZIONE DEI LAVORI.
Passando all’articolo 8 – erogazione del contributo – le modalità fissate ed indicate sono velatamente minatorie basate offensivamente sulla cultura del sospetto (a carico ovviamente dei tecnici e dei cittadini) con controlli e ricontrolli quando, di fatto, le Amministrazioni hanno personale non adeguato sia per numero che per competenze. Il rischio, quindi, è di loop burocratici per i quali, come è noto, l’Amministrazione poi mai risponde. OCCORRE SNELLIRE E SEMPLIFICARE.
La documentazione al punto c) del primo comma dell’articolo 8 è assurda: è priva di senso, anche lessicale, la richiesta dell’esito positivo, asseverato dal Direttore dei lavori, del controllo effettuato dalla struttura tecnica competente [Struttura, peraltro, neppure bene definita] nei casi in cui ricorre il controllo a campione delle pratiche. E’ assurdo! si tratta di una valutazione già nelle mani dell’Amministrazione di cui non si afferra né il senso né la motivazione, soprattutto quando di essa si richiede un’asseverazione al Direttore dei lavori.
Fra le documentazioni richieste si parla di fotografie comprovanti le diverse fasi di intervento. Nuovamente il sospetto! Cosa pensa il Commissario dei suoi cittadini?! ...che siano tutti dei ladri?! ...che con la pelle scampata per fortuna al tragico evento simulino riparazioni per avere contributi?!
Peraltro trattasi di interventi da eseguirsi (e che possono eseguirsi) solo sotto l’egida di un professionista. … che cosa pensa il Presidente, che anche i tecnici siano tutti dei corrotti?!
A quest’ultimo riguardo è bene ricordare, riflettendo all’uopo, che nell’affidamento di Opere pubbliche [cioè opere finanziate con il 100% di denaro pubblico], anche per interventi di valore importante è sufficiente il Certificato di regolare esecuzione emesso dal Direttore dei lavori [… un tecnico!] a garantire la regolarità di quanto eseguito e, quindi, il saldo all’Appaltatore delle proprie spettanze. La richiesta VA ELIMINATA.
All’articolo 10 troviamo reiterati gli errori di questa Amministrazione dai quali, purtroppo, neppure impara.
Con l’introduzione della legge regionale ER n. 19/2008 “Norme per la riduzione del rischio sismico” sono state costituite sul territorio le varie Strutture tecniche competenti e si è dato avvio ai controlli a campione anche sul Deposito dei progetti strutturali.
L’avvio delle norme è stato disastroso e il prosieguo anche peggio. Nonostante il numero esiguo di pratiche – complice una crisi che da anni attanaglia il settore dell’Edilizia – le Strutture tecniche sono risultate inefficienti e insufficienti, anche per un controllo eccessivo, borioso e puntuale delle pratiche, il cui effetto ha portato rapidamente ad esacerbare gli animi degli operatori del settore con proteste elevatesi da tutte le rappresentanze di categorie; proteste e disagi confluiti presumibilmente anche in un ricorso al TAR promosso a carico della Regione relativamente ad uno dei provvedimenti di attuazione della legge medesima.

Proprio sul tema dell’esigenza di snellimento delle procedure, riconosciutane la necessità e l’impellenza da parte della Regione, era attivo prima dell’arrivo del terremoto un Tavolo di confronto coordinato dall’Assessore Paola Gazzolo che aveva già profilato procedure differenti capaci di superare l’empasse delle continue congestioni degli Uffici preposti ai controlli. Con le disposizioni per la ricostruzione assistiamo nuovamente al vecchio spettacolo con l’aggravante che nel caso in questione la mole di pratiche sarà assolutamente consistente e quindi tale da produrre la paralisi completa del sistema. Il Controllo a campione va eliminato, ovvero contemplato in misura percentualmente ridotta e comunque sulla base delle effettive capacità di evasione delle pratiche da parte dell’amministrazione. Al riguardo, tuttavia, stante il rigore che l’Amministrazione ama esibire, il tempo di verifica delle pratiche deve essere definito, congruo (non oltre i 30 giorni che non possono ri-conteggiarsi per intero post richieste di integrazione) e con precisi termini di decadenza anche in capo al controllante.

1 commento:

  1. sarebbe il caso che tutti i professionisti in grado di fare proposte e/o modifiche all'ordinanza mettano a disposizione la loro professionalità e conoscenza

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